sabato 29 novembre 2008

cavolaia fuori stagione


Ci ho dato fisso in quest'autunno caldo, avrò ucciso minimo qualche centinaio di bruchi per 10 piante fra cavolfiori, broccoli e verze, ed è stato un lavoro improbo, diciamo che siamo andati pari patta, io ho dovuto sopprimerli, qualcuno l'ho lanciato dai vicini (ops!) che non hanno verdure, un paio ho deciso di graziarli; ho preso un vasetto, ci ho messo qualche foglia di verza e li ho rinchiusi. La temperatura del mio riscaldamento condominiale le ha purtroppo ingannate, eccole qui tutte e due che girano per casa alla ricerca di cavoli freschi su cui deporre le uova, non mi sfuggirete, siete in trappola.

domenica 16 novembre 2008

scambio di semi ingombranti o dangerous guerrilla gardening?












Se passate dalle mie parti vi ho lasciato alcuni semetti sul muro di casa.

Basta che allunghiate il braccio e prendiate qualche frutto di zucchina spinosa che è già in fase di germinazione. E' un "seed crossing" abbastanza anomalo ma potreste anche fare del "very dangerous guerriglia gardening" lanciando questi semi nel giardino di qualche persona che non vi è molto simpatica. Quali sono le controindicazioni evidenti:

se vi arriva in testa può farvi veramente male (consiglio infatti la coltivazione a spalliera e non a pergola come io ho incoscentemente fatto!).

quando lo pianterete non avrete minimamente idea di quanti frutti farà ma vi assicuro che anche avendolo piantato a giugno di quest'anno ho raccolto tre cassette (più di 20 kg).

il gusto non è proprio esaltante (decente in agrodolce, vedi post passato)

Perchè coltivarla sta benedetta pianta? Ha il fascino dell'esotico, del pericolo, dell'ignoto...

giovedì 13 novembre 2008

l'orto secondo Ippolito Pizzetti (faccio mie le sue parole)

Da: l'orto, aprile 1976 


È più che naturale invece – e anche umanamente comprensibile, ma non per questo meno deleterio – che una classe media o piccolo borghese o anche operaia che sia, trovatasi tutto d'un colpo nel vortice dell'avventura consumistica, e in cui è ancora vivo e doloroso il ricordo della lunga miseria rurale, non possa e non sappia vedere in quel mondo che ha lasciato alle spalle nient'altro che una ferita che scotta ancora, una memoria da rimuovere. Viceversa il giardino è accettato, ma nella misura unicamente in cui costituisce il segno di un traguardo raggiunto, un simbolo di stato, opulenza, pompa e orpello. Perciò l'albero ha da essere meno albero che sia possibile (la thuya, il Cupressus arizonica) o nel migliore dei casi esotico: una palma, un abete, e per niente al mondo una cosa viva: non l'ulivo, non il pioppo o i salici nostrani che ricordano; non l'albero fruttifero, che richiede attenzioni e sorveglianza, non le annuali, non soprattutto l'orto, che esige vanga e zappa, il rapporto continuo con la terra, il lavoro: quando è proprio il lavoro, quale che sia – come memoria o come sfinente realtà quotidiana – che si vuole scordare. Donde anche l'aberrante e grottesca farsa dell'hobby: che non è altro che un sintomo di fuga e il segno patetico e squallido di un rapporto disturbato col lavoro. Ed è tutta qui, la differenza sostanziale tra l'attuale giardino italiano e quello tedesco e inglese: che il primo è costituito in funzione antidinamica, statica, che esclude ogni rapporto, tanto che potrebbe sussistere senza che nulla cambi al di là di un vetro; mentre negli altri il lavoro, la partecipazione, il rapporto con la terra e il mondo vegetale è la premessa stessa su cui il giardino si fonda. (ritaglio di Lidia su http://www.compagniadelgiardinaggio.it/ippolito-pizzetti)